Occhi rossi
A New York non è impossibile incontrare un Terminator. Si può ad esempio ammirare un T-800 a grandezza naturale esposto nella vetrina di Forbidden Planet, al centro di Manhattan. Il mostro di metallo che si erge minaccioso e imponente alle mie spalle ha però tutt’altra potenza. Le piccole scalfiture che si notano sull’esoscheletro lo rendono credibile e quei due piccoli puntini di fuoco che gli fanno da occhi, dopo più di trent’anni dal loro esordio cinematografico sono ancora fonte di inquietudine, simbolo di una minaccia incombente e inarrestabile. Sono sul set in Louisiana di Terminator Genisys, il film che dovrebbe rilanciare la saga sci-fi creata da Cameron facendo da capostipite a una nuova trilogia, sto osservando una scena su un piccolo monitor, mentre viene girata: ne è protagonista Jason Clarke (Zero Dark Thirty, Apes Revolution) nei panni mitici di John Connor, il leader della resistenza umana nella lotta alle macchine salvato dal cyber-Schwarzy nel primo film del 1984. Sta discutendo con un compagno di lotta di un progetto estremamente importante: «Stiamo pianificando la costruzione di qualcosa di fondamentale per la storia – ci conferma poco dopo l’attore – un’idea che potrebbe mettere fine alla guerra contro le macchine».
Passato e futuro: questione di dettagli
L’ex deposito di mobili appena fuori New Orleans in cui sono stati allestiti i principali set del film di Alan Taylor è avvolto in un’atmosfera silenziosa e insieme densa. I resti di una grossa macchina sporgono da un enorme cassonetto della spazzatura. Costumi di scena e svariate armi sono sparse intorno a me, mi rendo conto che garantiscono un’affascinante commistione di passato e futuro. «L’idea è quella di dare più riferimenti possibili al pubblico riguardo il nostro contesto – spiega l’executive producer del film Megan Ellison –. Nel momento in cui le macchine si sono ribellate ed è scoppiata la guerra il mondo si è fermato. I resti della Los Angeles precedente al conflitto si intravedono ancora tra le macerie, e devono quindi essere il più veri e riconoscibili possibile». Ecco allora che tra gli indumenti consunti con cui si vestono gli ultimi umani scorgiamo vecchie magliette dei Lakers con l’inconfondibile numero 32 di Magic Johnson. «Rispetto ai precedenti episodi il nostro film è maggiormente ambientato nel presente – continua il produttore Dana Goldberg – mentre il futuro che mostriamo è solo trenta o quarant’anni avanti. Quindi si tratta fondamentalmente della stessa epoca, solo devastata dal conflitto. Siamo stati molto attenti a costruire la continuità estetica del film, in modo da dare al pubblico la maggiore sensazione possibile di una civiltà andata in rovina ma ancora riconoscibile». […]
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