A un certo punto mi stufo di aspettare e vi consiglio anche roba che in Italia non è distribuita, perché qualcuno deve pur smuovere le acque, aumentare la richiesta, stimolare l’offerta, porre fine a una grave ingiustizia, tappare i buchi di sceneggiatura della vita.
La storia che vi racconto oggi, cari bambini, assomiglia ad altre che probabilmente avete già sentito, ma di nuovo: è diversa. Si inizia nel lontano 1987, una delle nostre annate preferite. Woo-sang “Richard” Park, regista/ produttore coreano noto nel circuito underground come prolifico truffaldino di film di menare a costo irrisorio, scopre la palestra del connazionale Y.K. Kim a Orlando (Florida) e gli propone di lavorare insieme.
Y.K. Kim non solo non sa nulla di cinema, ma afferma proprio di aver visto un totale di SEI film nella sua intera vita, per cui dice subito di sì. Quando Park abbandona a metà riprese, evidentemente insoddisfatto pure per i suoi bassi standard, per Kim diventa subito una questione d’onore. Si era fomentato. Aveva riempito il cast con gli studenti della sua palestra. Non può sfigurare.
Compra letteralmente dei manuali di cinema per dilettanti, studia, investe soldi suoi, e in qualche modo rocambolesco lo finisce. Disperato, lo porta ovunque, persino al Marché di Cannes, ma si fa ridere dietro. Ci rimette le mani, rimonta, aggiusta, manon serve. Paga qualche proiezione in zona Orlando, e finisce lì: Kim, sull’orlo della bancarotta, chiude uno dei capitoli più umilianti della sua vita. O almeno così crede. Il film sparisce letteralmente… fino al 2009.
Zack Carlson, direttore della rinomata catena di sale Alamo Drafthouse, trova un’inserzione su Ebay per un generico film di ninja in pellicola in vendita a $50. Lo compra: è Miami Connection. Lo guarda. È bellissimo. Cioè, circa. È “un tipo”. Ma è un tipo che, presentato nel modo giusto, non può non trovare un suo pubblico che sappia apprezzare. Zack lo fa restaurare e lo ri-distribuisce: ha ragione e funziona.
Nasce un nuovo, duraturo cult. Ora: so cosa state pensando. È un film “così brutto che fa il giro e diventa bello”? Sì, odio l’espressione – non è il film a fare il giro, siete voi – ma se vogliamo capirci il campo da gioco è quello. È pieno di goffaggini e ingenuità, pacchianerie, faccette, errori, che fanno effettivamente ridere anche quando non vorrebbero. Ma c’è dell’altro. Probabilmente avete già visto altri assurdi film semi-dilettanteschi nella vostra vita: di solito sono guidati e inghiottiti dall’ego smisurato del loro creatore, disposto a qualsiasi cosa pur di creare un monumento a se stesso.
Il più noto è The Room, celebrato da Hollywood nel pluripremiato The Disaster Artist di James Franco. In territorio italiano, pensate a La croce dalle sette pietre. Oppure – su budget incredibilmente alti – al peggior Celentano.
La prima cosa che colpisce di questo film è quindi, al contrario, la mancanza di ego. Y.K. Kim racconta di un gruppo di amici, uniti dalla passione per le arti marziali, che si ritrovano a combattere una cartoonesca gang di ninja criminali (che girano in moto, alla faccia dell’essere invisibili). La loro seconda passione è la musica, mostrata in una clamorosa virata verso il film-concerto in cui i nostri suonano pezzi bellissimi di cui uno intitolato appunto Against the Ninja. In controtendenza, quindi, non c’è un vero singolo eroe: il focus è sul gruppo e sul senso di amicizia che li lega. Giustizia sì, ma soprattutto generosità e altruismo, una sottotrama e un pezzo di bravura per ognuno dei protagonisti, tanta sincerità, e niente pose da macho. Facile parlare adesso di “famiglia” non biologica, dopo Fast & Furious, ma chi lo faceva nel 1987, ai tempi di Rambo e Chuck Norris? C’è sempre stata un’altra via alle belle storie d’azione, e l’abbiamo solo scoperta dopo. Miami Connection è un film irresistibile che non solo diverte a getto continuo, ma scalda il cuore.
La sua storia produttiva è struggente, il finale è glorioso. Specie se tenete conto che i suoi cinque protagonisti, quasi 40 anni dopo, frequentano tutti ancora la stessa palestra
(1), Toho Company, John Beck, RKO General Pictures (1), P.J.K. Group (3)
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